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                  «Io 
                  non conosco il gatto.So tutto, la vita e il suo arcipelago,
 il mare e la città 
                  incalcolabile,
 [...] ma non riesco a decifrare il gatto»
 Pablo Neruda, 
                  Ode al gatto
 
                    
                   
 
                  
                  Tra tutti gli animali domestici il gatto è 
                  certamente quello più affascinante, ma anche quello nei cui 
                  confronti esistono più pregiudizi. Si dice, ad esempio, che 
                  non si affezioni al padrone, bensì alla casa. Non è vero: si 
                  affeziona alla casa solo se non è stato lui a scegliere il suo 
                  bipede. È un animale indipendente e con le idee chiare, che 
                  non scende a compromessi e non vende il suo affetto per una 
                  ciotola di cibo o una frettolosa carezza. Apprezza la comodità 
                  che l’uomo gli offre, ma decide lui – e lui solo! – chi merita 
                  la sua considerazione. La sua storia inizia 30-40 milioni di anni fa: da allora 
                  accompagna l’uomo come un silenzioso e spesso incompreso 
                  aiutante. Nessun animale ha conosciuto vicende tanto alterne, 
                  dalla venerazione come divinità, alla persecuzione come 
                  incarnazione demoniaca. Il gatto infatti non suscita 
                  sentimenti tiepidi: creatura magica e misteriosa, o lo si ama, 
                  o lo si detesta.
 Dopo un breve viaggio nel tempo (integrato da una serie di 
                  rare e suggestive immagini), Laura Fezia racconta meravigliose 
                  storie vere e ci parla delle straordinarie qualità e delle 
                  numerose virtù di questo particolarissimo animale. Queste 
                  pagine non vi serviranno forse a scegliere un micio, ma vi 
                  aiuteranno a farvi scegliere da lui come compagni di vita. 
                  Insomma, questo è un libro scritto anche dal punto di vista 
                  del gatto!
 
 
 
  Laura 
                  Fezia è nata, vive e lavora a 
                  Torino, dove da più di trent’anni  si interessa e si occupa 
                  della divulgazione delle tematiche acquariane. Studiosa del 
                  «mistero», amante degli animali, scrittrice e insegnante di 
                  tecniche per il riequilibrio energetico, collabora con 
                  numerose testate giornalistiche ed è spesso ospite di 
                   trasmissioni televisive. È autrice dei volumi Scuola di 
                  Magia, Mercanti dell’occulto, Mago: se lo 
                  conosci, lo eviti, per L’Età dell’Acquario ha pubblicato
                  Choku Rei: riconnettersi con la Vita e Fatima: un 
                  segreto per il futuro prossimo. Chi desidera contattarla può visitare il sito
                  
                  www.laurafezia.it
 
 
 
  
   
                  ---------------l’indice
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 7 
                     Ringraziamenti
 9    Premessa
 
 15    La storia
 29    Micio e Peppina
 41    I gatti e l’anima
 53    La gatta sensitiva
 63    Il gatto e l’ESP
 77    La scelta del gatto
 91    I gatti e le donne
 105    Tonto di mamma
 111    I gatti nelle arti
 129    Gatto Felice
 139    I gatti in musica
 149    Gilda, Migna, Taddeo e Lalla
 157    Come procurarsi un gatto
 169    Il gatto: istruzioni per l’uso
 185    In conclusione
 
 189    Bibliografia
 
 
 ---------------
 dal libro
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 Premessa
 
 Amo gli animali da che ho memoria di essere al mondo.
 Quando – da bambina – trascorrevo qualche settimana, in 
                  estate, a casa dei miei nonni, a Pollone, nessuno si 
                  preoccupava se improvvisamente sparivo, perché sapevano dove 
                  cercarmi: nel pollaio o nella stalla.
 Giocavo con i pulcini e le galline sorvegliata attentamente 
                  dal gallo, che non era molto contento ma mi tollerava, oppure 
                  mi perdevo ad accarezzare mucche e vitelli, aiutando ad 
                  accudirli.
 L’odore che emanavo, dopo queste scappatelle, non era 
                  certamente dei migliori e allora mia nonna, prima di 
                  concedermi l’accesso in casa, faceva scaldare l’acqua sul 
                  putagé (1), mi immergeva nella tinozza posta in mezzo al 
                  giardino e si dava da fare con striglia e sapone: eravamo 
                  negli anni ’50 e le case, soprattutto le vecchie case di 
                  campagna, non erano dotate di vasca da bagno. Il boom 
                  economico avrebbe elettrizzato l’Italia solo nel decennio 
                  successivo, dando il via a quello che la generazione degli 
                  anziani avrebbe ancora per un bel pezzo chiamato 
                  sprezzantemente «lusso».
 Non avevo animali in casa: mio padre non ne voleva. 
                  L’eccezione era rappresentata dal pesce rosso che annualmente 
                  zio Marcello ci regalava in occasione del Carnevale… e che 
                  finiva regolarmente per defungere nel giro di poche settimane, 
                  con mio gran dispiacere.
 Però c’erano, per fortuna, parenti e amici dotati di 
                  quadrupedi: andarli a trovare era una gioia! Ricordo un’intera 
                  generazione di «Rea» in casa del mio padrino, il gattone 
                  persiano di zia Rosita (mi pare che si chiamasse Alì), la 
                  cagnetta di Mafalda che scartava da sola le caramelle, la 
                  barboncina di zia Giulia che avvertiva le padrone – 
                  completamente sorde – se il campanello o il telefono 
                  squillavano.
 In quei primi tempi e anche oltre, la mia preferenza era per i 
                  cani: possederne uno da amare e coccolare era il mio sogno. 
                  Sarei riuscita a realizzarlo a 18 anni compiuti.
 Dei gatti sapevo poco o nulla, li ammiravo ma mi davano poca 
                  soddisfazione ed ero condizionata dalle dicerie che 
                  circolavano (e circolano!) su di loro, la prima e più 
                  infondata delle quali è: si affezionano alla casa e non al 
                  padrone. Inoltre, una delle leggende famigliari era quella che 
                  raccontava mio padre che, da bambino, aveva visto la vicina di 
                  casa – tôta Cardetti – con il viso sfigurato dalla sua gatta 
                  siamese, che le aveva proditoriamente teso un agguato 
                  lanciandosi su di lei dall’alto del guardaroba.
 Solo con il tempo ho scoperto l’universo felino e ne sono 
                  rimasta piacevolmente sorpresa e totalmente affascinata.
 Il gatto si affeziona alla casa solo se non è stato 
                  personalmente lui a scegliere il padrone: è un animale 
                  indipendente e con le idee chiare, che passa con disinvoltura 
                  dal salotto al tetto rimanendo sempre se stesso, senza mai 
                  vendersi o accettare compromessi di comodo.
 Apprezza i comfort che il bipede di turno gli offre, ma decide 
                  lui – e lui solo! – se quel bipede merita la sua 
                  considerazione… e i parametri che usa sono davvero 
                  sorprendenti!
 Infine, il gatto è l’animale magico per eccellenza: ha qualità 
                  e proprietà inimmaginabili, è portatore sano di uno 
                  straordinario mondo energetico, la cui scoperta e fruizione 
                  aprono infiniti orizzonti.
 Nella storia, è certamente l’animale che ha mutato più volte 
                  il suo destino sociale. Dalla divinizzazione presso gli egizi 
                  e altri antichi popoli, alla persecuzione del cattolicesimo, 
                  dai fasti dei templi e dei palazzi imperiali, ai roghi della 
                  Santa Inquisizione, ha accolto con condiscendenza onori e 
                  privilegi, ha sopportato pazientemente pregiudizi e ignoranza, 
                  senza cambiare mai la sua natura indipendente e apparentemente 
                  menefreghista, adattandosi alla convivenza a volte 
                  problematica con l’uomo, tenendosene sempre un po’ a distanza, 
                  ma continuando a esercitare su di esso le sue doti seduttive.
 Sono ormai più di trent’anni che frequento gatti e posso 
                  davvero dire che non esiste «il gatto», così come non esiste 
                  «l’uomo»: ogni individuo è un mondo a sé, unico e 
                  irripetibile, lontano da stereotipi e generalizzazioni.
 Diversamente dall’uomo (2), però e contrariamente a quanto 
                  pensano i suoi avversari, se un gatto ti sceglie è davvero per 
                  sempre, fino alla morte e anche oltre.
 Questo libro è nato per caso… e chi mi conosce sa bene quanta 
                  ironia ci sia in questa espressione, perché in realtà sono più 
                  che certa, sempre, che «il Caso» non esista.
 Parla di gatti, certo, ma non è un manuale di consigli: di 
                  quelli sono già piene le librerie di tutto il mondo e non si 
                  tratta nemmeno di un vademecum per scegliere quale tipo di 
                  micio ospitare nella vostra casa.
 È una miscellanea di storia e storie, tra le quali una delle 
                  più struggenti storie d’amore che possa accadere di vivere, 
                  racconti di vita vissuta, notizie di cronaca e di costume, 
                  curiosità, opinioni personali e non, sulle straordinarie 
                  qualità dell’animale più affascinante che sia mai comparso sul 
                  pianeta Terra.
 Ma soprattutto, vuole essere un libro scritto anche dal punto 
                  di vista del gatto!
 
 1) Termine dialettale piemontese per indicare una particolare 
                  stufa destinata sia al riscaldamento sia alla cucina. Veniva 
                  anche chiamata «cucina economica».
 2 Uomo = appartenente al genere umano, dunque maschi e 
                  femmine. Contenti?
 
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 dal I capitolo
 
 La storia
 
 In un libro che parla di gatti, quello relativo alla loro 
                  storia è un capitolo quasi inevitabile.
 Non mi sono mai occupata molto di sapere quando il gatto abbia 
                  fatto la sua comparsa sul pianeta Terra, ma accingendomi a 
                  scriverne ho voluto documentarmi.
 Si ritiene che cani e gatti abbiano avuto progenitori comuni e 
                  ciò risale a circa 50 milioni di anni fa. Poi le linee 
                  evolutive si sono separate, non si sa con precisione per quale 
                  motivo e il gatto si è evoluto prima del cane come smilodon, 
                  circa 25 milioni di anni fa: ma la strada per giungere al 
                  felino che oggi conosciamo è molto lunga.
 Lo smilodon, che più comunemente viene chiamato «tigre 
                  dai denti a sciabola» e di cui sono stati trovati molti 
                  fossili soprattutto nel Nord America, si presenta come un 
                  animale la cui unica preoccupazione è la sopravvivenza, con 
                  una dentatura smisurata e scatola cranica ridotta: pensare non 
                  gli serve, gli occorre soprattutto cacciare per sfamarsi e 
                  avere la possibilità di difendersi dagli attacchi dei 
                  predatori giganti del primo Cenozoico.
 Di era in era, di mutazione in mutazione, di adattamento in 
                  adattamento alle condizioni ambientali, arriviamo ai 
                  progenitori dei grandi felini, che iniziano ad aggirarsi sulla 
                  crosta terrestre circa 10 milioni di anni or sono e diventano 
                  gli attuali leoni, tigri, leopardi ecc., solo 3 milioni di 
                  anni fa.
 L’evoluzione continua o, meglio, continua la differenziazione 
                  delle taglie e delle altre caratteristiche in funzione delle 
                  zone e del clima.
 I primi gatti moderni che fanno la loro comparsa sulla scena, 
                  sono il gatto di Martelli e il gatto di Pallas.
 Il gatto di Pallas (detto anche manul) vive ancora oggi allo 
                  stato selvatico in alcune regioni dell’Asia e in qualche zoo: 
                  è un buffo felino che assomiglia vagamente a un gufo, lungo 
                  più di 80 centimetri, di cui 25 sono di coda, con le zampe 
                  corte, le orecchie tonde e basse e una folta e lunga pelliccia 
                  che in natura cambia di colore, a scopo mimetico, a seconda 
                  della stagioni.
 Il gatto selvatico di Martelli era diffuso un tempo in tutta 
                  l’Europa e in alcune zone del Medio Oriente, ma attualmente è 
                  estinto.
 Ufficialmente scompare circa un milione di anni fa, ma 
                  presumibilmente ha solo modificato e differenziato il suo 
                  aspetto per adattarsi all’habitat ed è considerato il diretto 
                  progenitore dei più piccoli gatti selvatici moderni, da cui si 
                  sono sviluppati in seguito i cosiddetti «gatti domestici».
 Tra i suoi discendenti troviamo infatti il felis silvestris, 
                  che fa la sua entrée nella storia felina tra i 600.000 e i 
                  900.000 anni fa, diffondendosi in Europa, in Asia e in Africa 
                  e dà origine a diverse razze, quali il selvatico comune (felis 
                  silvestris), il selvatico africano (felis silvestris lybica) e 
                  l’asiatico del deserto (felis silvestris ornata).
 Gli esperti presumono che il gatto domestico derivi dal 
                  selvatico africano, la cui culla (ma sarebbe meglio dire 
                  cuccia) sarebbe la valle del Nilo. Non è un caso, infatti, che 
                  i numerosi gatti raffigurati nelle pitture dell’antico Egitto 
                  assomiglino in modo impressionante al gatto selvatico 
                  africano.
 Sembra che gli egizi, 5000-6000 anni fa, abbiano importato il 
                  gatto dalla vicina Etiopia, lo abbiano chiamato – potenza 
                  dell’onomatopea o mancanza di fantasia! – miu o mau e presto 
                  abbiano compreso come questo animale fosse prezioso per la 
                  guerra ai topi che infestavano i depositi di frumento: al 
                  contrario dei furetti, precedentemente impiegati per quello 
                  scopo, che però erano assai ghiotti di grano e decimavano la 
                  scorte, i gatti disdegnavano i chicchi dorati e si 
                  interessavano unicamente a dare la caccia ai più appetitosi 
                  roditori.
 Ben presto, in Egitto il gatto diventa oggetto di culto e 
                  certamente non solo per le sue qualità di cacciatore: gli 
                  antichi egizi, diretti discendenti di Atlantide, conoscono e 
                  usano comunemente il mondo energetico sottile e non si 
                  lasciano sfuggire le straordinarie proprietà dell’animale, al 
                  punto che lo divinizzano e gli conferiscono le fattezze della 
                  dea Bastet. Da quel momento, l’uccisione, il ferimento o anche 
                  solo il semplice maltrattamento di un gatto vengono puniti con 
                  pene che arrivano fino alla condanna a morte e sono numerose 
                  le mummie di felini ritrovate nelle tombe egizie.
 Bastet è la musa del canto e della danza, la protettrice dei 
                  raccolti, la divinità che governa la fertilità degli umani, 
                  degli animali e della Terra, la dea dell’Amore. Nella sue 
                  rappresentazioni tiene in mano un amuleto sacro che ha la 
                  forma di un occhio di gatto, chiamato utchat (da cui si 
                  presume derivi il nome dell’animale), che viene riprodotto 
                  ovunque con un significato protettivo e propiziatorio. È 
                  quello che noi conosciamo come «Occhio di Ra», il potente dio 
                  del Sole, padre di Bastet, che nell’immaginario egizio assume, 
                  a volte, le sembianze di un gatto per scendere sulla Terra.
 Presso gli egizi viene punito con pene severe non solo chi 
                  attenta alla vita di un gatto, ma anche chi cerca di 
                  trafugarne uno per farlo espatriare. Nonostante ciò (o forse 
                  proprio a causa di ciò…), fiorisce il commercio clandestino di 
                  mici ed è così che, grazie al contrabbando, i gatti 
                  raggiungono l’Europa e parte dell’Asia.
 Quando Alessandro Magno, nel 333 a.C., conquista l’Egitto, 
                  poco per volta il gatto perde le sue caratteristiche divine, 
                  ma non la sua importanza.
 
 
                   
                  
                  
                   
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